UNA FARMACISTA TORNA DA CAMBRIDGE NELLA SUA VALLE FRIULANA PER ALLEVARE CAPRE CASHMERE. STORIA AFFIORATA IN UNA SERATA DI BELLEZZA

UNA FARMACISTA TORNA DA CAMBRIDGE NELLA SUA VALLE FRIULANA PER ALLEVARE CAPRE CASHMERE. STORIA AFFIORATA IN UNA SERATA DI BELLEZZA

Introduzione di Salvatore Giannella - Testo di Giuseppe Ragogna*

Ho vissuto una serata magica all’insegna di una bellezza insolita in una valle alle pendici del monte Raut, nelle Alpi friulane. Merito di Rosanna e Gabriele Centazzo, apostoli del bello e dell’arte nell’impresa da lui fondata (la Valcucine di Pordenone) e nella casa gestita da lei, un rustico sobrio nella minuscola frazione di Casasola, quaranta abitanti sopra Frisanco (Villaggio ideale di Airone, 2003). Una volta all’anno Casa Centazzo richiama, nella vallata scelta da loro per vivere il tempo interiore, un migliaio di valligiani e turisti per una serata all’aperto (“Cinema sotto le stelle”). Con l’aiuto di volontari, i Centazzo trasformano l’inclinazione dolce del prato davanti alla loro casa in un popoloso anfiteatro. Si sono susseguiti incontri, film sull’orso e sui grandi predatori (“per convivere con loro servono equilibrio e controllo”) e utopie: Gabriele immagina la valle scolpita da artisti e valorizzata da luci magiche, per passeggiate notturne in una natura selvaggia popolata dai sogni dell’uomo. 

In questa occasione ho incontrato un acuto cronista, Giuseppe Ragogna, già vicedirettore del “Messaggero Veneto”, autore di un tenace reportage confluito in un libro che invito a leggere: “Friuli, storie di rinascita della montagna”, Edizioni L’Omino Rosso. Ragogna ha viaggiato sin dentro le vallate più selvagge del Friuli: dal Cansiglio al Piancavallo, dalla Valcellina alla Val Tramontina, dalla Val Colvera alla Val d’Arzino, dalla Carnia al Canal del Ferro, dalla Val Resia alle Valli del Nations. Storie di resistenza coraggiosa e di rigenerazione della montagna, nonostante i fenomeni di marginalità e di spopolamento. Ragogna si lascia trascinare dalle buone notizie che profumano di ottimismo. Si intrecciano così, pagina dopo pagina, cinquanta identikit diversi: chi alleva animali e trasforma il latte in formaggio e ricotta; chi coltiva piante officinali in campi che sono quadri di Van Gogh e di Cézanne; chi mantiene in vita tradizioni antiche con pratiche innovative; chi sviluppa lavori artistici e digitali connessi con il mondo;  chi sceglie un’esistenza appartata, privilegiando silenzi, spazio, tempo.
Tra questi abitanti della montagna, avanguardie di un movimento di ripartenza, ho scelto la storia di Paola Zaccone (nella foto sopra,  in apertura), laurea in farmacia e anni di ricerca a Cambridge, poi tornata in questa Val Colvera per allevare capre cashmere. Questa è la sua storia. (S. Gian.)

L’affollato prato anfiteatro a Casasola di Frisanco (Pordenone) durante la serata “Cinema sotto le stelle”. Sullo sfondo: Casa Centazzo.

Rosanna e Gabriele Centazzo in un video augurale per Pasqua 2023.

Il luogo è stupendo, immerso nella natura e nei silenzi della Val Colvera. Poco distante c’è Poffabro, inserito tra i borghi più belli d’Italia, un nido intrecciato di case in sassi con ballatoi in legno. È un presepe permanente, incastonato tra i monti, che si accende in ogni stagione con colori diversi. Tra le montagne della valle ha messo radici la Friul Cashmere, una piccola azienda che ruota attorno alla presenza delle capre e si sviluppa con una serie di mini-stalle, fino a interessare la Val d’Arzino. Intanto ha conquistato rapidamente la Bandiera verde che Legambiente assegna alle idee virtuose in terre delicate. La motivazione del riconoscimento è un vero e proprio manifesto programmatico: allevamento, benessere animale, cura del territorio.

     L’attività è nata quasi per caso alcuni anni fa: passione ed entusiasmo hanno fornito il propellente per superare anche la pandemia da Covid. La fondatrice è Paola Zaccone, con in tasca una laurea in farmacia e un curriculum di tutto rispetto nel settore della Microbiologia e Immunologia. Completati gli studi, Paola è andata a lavorare per vent’anni a Cambridge, nei laboratori dove si fa ricerca ad alti livelli. Il rientro a Poffabro, terra di affetti materni, si è allungato per motivi di salute fino a diventare un periodo sabbatico per capire che cosa fare. Poi la fase di transizione è diventata una nuova dimensione di vita. Ogni certezza è stata messa in discussione, perché talvolta gli approcci a valori diversi, ritenuti più solidi, incendiano i sentimenti. “Mi mancavano le montagne – racconta Paola – che costituiscono un altro modo di vivere”. Cambridge o Poffabro? “Si sono aperti nuovi orizzonti –spiega – legati indissolubilmente con la storia della vallata. Da piccola seguivo le orme della nonna. Nella piccola stalla, accanto alla cucina, c’erano le capre, che occupavano spazi ristretti. Di fatto, erano le mucche dxei poveri, animali con meno esigenze di cure. I ricordi tornavano vivi. Un giorno mi hanno regalato una capretta diventata orfana, che ho tirato su con il biberon, e così le prospettive sono cambiate”.

Ecco la svolta. Da bambina delle capre, Paola è diventata la donna delle capre, custode di cultura e di tradizioni. “È capitato – racconta – che ho avuto bisogno di un veterinario. Dall’incontro con Tatiana Sbaragli, professionista che vive a Codroipo, è nata un’amicizia che si è rafforzata con l’idea di realizzare in Val Colvera un allevamento di capre cashmere, una razza rustica che sa adattarsi ad ambienti poveri: dalla Mongolia all’Afghanistan, dall’Iran al Pakistan. Non ci sono più confini neanche per gli animali. In Toscana esisteva da tempo un allevamento gestito da una donna americana. Siamo andate là a fare compere per una rigorosa selezione. Siamo tornate con tre femmine e un maschio, il vecchio Donald che è la nostra mascotte”. La sperimentazione ha avuto successo, così le due amiche non si sono lasciate scappare il colpo vincente di acquistare in blocco un gregge già formato di 40 capi: “Nel 2019, prima del Covid, abbiamo ricevuto dal Lazio una telefonata che ci offriva una grande opportunità. Il proprietario era orientato a vendere le sue capre proprio a noi, perché approvava la nostra visione etica. La sua priorità era che gli animali fossero trattati bene, in un posto adeguato in mezzo al verde, scartando ogni soluzione di allevamento intensivo. Abbiamo accettato, senza pensarci un attimo”. Nasceva così l’azienda, una società tra Paola, che è la rappresentante legale, e Tatiana.

Le capre cashmere offrono varie opportunità: dalla lavorazione della fibra pregiata al goat trekking con il coinvolgimento dei bambini, fino alla pulizia dei terreni. “Pensate alla meravigliosa soluzione dell’eco-sfalcio anche dei sentieri. Per esempio, a Pinzano usano le capre per tenere pulite le aree dei siti storici”, spiega Paola. Non c’è invece tra gli obiettivi la produzione del latte: “Questo tipo di animali non è generalmente allevato per quel tipo di funzione. Noi diamo precedenza all’allattamento dei capretti che restano accanto alle madri per 6/8 mesi. Preleviamo soltanto piccole quantità di latte che utilizziamo per fare il sapone, un vero lusso per la pelle”. Oggi il patrimonio è di una ottantina di capi distribuiti in alcune mini-stalle, tra Frisanco, Poffabro,  Pradis e Montereale: “La scelta è di gestire dei piccoli gruppi in autonomia per garantire il loro benessere”. Una dozzina di caprette vive nei terreni del monastero benedettino di Santa Maria. Se ne prendono cura amorevolmente le monache: “Proprio da loro c’è stato un parto tri-gemellare”. La socialità è importante per questo tipo di animali, che si lasciano così pettinare per raccogliere la fibra, senza creare situazioni fastidiose di stress.

È stato così avviato un modello di economia circolare che ruota attorno alla “Friul Cashmere”. Paola cala l’asso dell’organizzazione: spiega che si è aggregato un gruppo spontaneo di amici, ognuno con un ruolo specifico. Ivo Romanelli, con tanto di laurea in lingue e letterature straniere e manager per una quindicina di anni di una multinazionale, si è reinventato imprenditore agricolo fondando una piccola azienda a Montereale Valcellina, dopo una crisi lavorativa. In questa attività è sostenuto da Branka Resnik: il suo contributo è importante per l’addestramento e la cura degli animali. Un aiuto all’attività è assicurato anche da Martina De Florio, infermiera che vive in Val Colvera. Altri esperti stanno prendendo in esame l’ipotesi di avviare alcune iniziative di goat trekking. Tante esperienze diverse costituiscono quindi una fucina di idee. “Siamo una squadra che si è costituita spontaneamente attorno alle capre”, spiega Paola. “Non vendiamo gli animali, ma li diamo gratuitamente a chi abbraccia gli obiettivi etici del progetto e l’amore per il proprio territorio. L’unico impegno è quello di restituirci il cashmere, una fibra tessile morbida e resistente che è trattata da un’azienda di Vicenza. Poi i gomitoli vanno a Udine, all’Arteviva di Liviana Di Giusto che li lavora con creatività. Ha lei l’esclusiva dei nostri prodotti”.

Il mondo animale ritorna a popolare le vallate: “È come fare un viaggio a ritroso nel tempo per recuperare il meglio delle tradizioni”. È soprattutto un patrimonio che si integra perfettamente con il paesaggio delle montagne per valorizzare il territorio.

*Giuseppe Ragogna (Pordenone 1956), giornalista, già vicedirettore del “Messaggero Veneto”, è autore di alcuni libri di storia locale e di analisi economiche e sociali. Dopo aver concluso il ciclo professionale, è impegnato nel volontariato per raccontare le attività umanitarie in Italia e all’estero, soprattutto in Africa dove documenta il lavoro di alcune ong. Da osservatore e curioso dei territori, ha scritto reportage di viaggio alla scoperta di angoli dimenticati delle vallate friulane. Con Gaspari editore ha pubblicato “Questo nostro Friuli”, un libro che raccoglie storie di innovazione nelle campagne. Da due anni cura la rubrica “Il viandante” per il settimanale “Il Friuli”, con racconti di rigenerazione di borghi abbandonati e territori delle montagne friulane, confluiti nel libro “Friuli, storie di rinascita della montagna”, Edizioni L’Omino Rosso.

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