LA MEMORIA ATTUALE/ ADDIO
A GEMINIANI, SI AMMALò
CON COPPI, FU SALVATO DAL CHININO, MI RIVELò COME IL NOSTRO CAMPIONISSIMO S'AVVELENò MANGIANDO MANIOCA

testo di Salvatore Giannella / da Oggi, 2002

Il grande vecchio del ciclismo Raphael Geminiani (francese di origini italiane, suo padre era emigrato in Francia da Lugo di Romagna) è morto il 5 luglio 2024 in una clinica presso Clermont-Ferrand a un anno dal traguardo dei cent’anni di vita: li avrebbe compiuti il 12 giugno 2025. Con lui scende di bici uno degli ultimi testimoni dell’epoca delle leggende del ciclismo: Coppi, Bartali, Bobet, Anquetil, Gaul, il romagnolo Ercole Baldini (con Coppi nella foto qui in basso, a sinistra),…

Fausto Coppi (Castellania, Alessandria, 15 settembre 1919 - Tortona, 2 gennaio 1960) in un'immagine scattata un anno prima della sua morte. Qui è con un altro campione del ciclismo di ieri: Ercole Baldini (Forlì, 26 gennaio 1933 - Villanova, Forlì, 2 dicembre 2022).

Con Coppi, Geminiani condivise la sciagurata avventura in Alto Volta (oggi Burkina Faso), nel dicembre 1959: anche lui fu colpito dalla malaria ma,. a differenza del nostro Campionissimo, si salvò grazie al chinino fornito dall’Istituto Pasteur. E proprio sulla fine di Coppi Raphael Geminiani mi fornì una testimonianza decisiva per illuminare gli ultimi tragici giorni di Fausto. La raccolsi per Oggi, numero del 13 febbraio 2002, alla fine di un lungo itinerario da cronista in Italia, in Europa e in Africa, innescato da una intervista di un frate a un quotidiano romano che aveva riaperto un giallo che aveva scosso il mondo. Qui di seguito i brani centrali di quel mio reportage, che fu arricchito dalle immagini di Salvatore Gatto, fotografo dell’Agenzia Omega. (s.g.)

Monastero Bormida (Asti) –  La malaria uccise un Coppi dal corpo già intossicato da un veleno: un veleno, sì, ma non frutto di stregoneria o di vendetta, bensì da una pianta mangiata “per curiosità”: la radice cruda della manioca amara (un arbusto velenoso il cui principio tossico viene normalmente allontanato con ripetuti lavaggi o la cottura). La manioca è una pianta alimentare molto apprezzata nei Paesi caldi, ma consumare la radice cruda (come Oggi ha accertato che fece Coppi) provoca intossicazioni gravi, se non addirittura letali: queste serie conseguenze sono dovute al suo contenuto di “glucosidi cianogenici” che liberano il velenoso acido cloridrico. Si spiega così in quel “misterioso fattore collaterale” da sempre indicato dal medico della famiglia Coppi, Ettore Allegri, come l’elemento che deviò della diagnosi della malaria le prime indagini sanitarie sul Campionissimo. A questo risultato, che offre una cornice nuova e più credibile al mistero sugli ultimi giorni di vita del ciclista, Oggi è arrivato percorrendo molte strade in Italia, in Europa, in Africa, incontrando i testimoni chiave ancora viventi, mettendo a confronto serrato le loro ricostruzioni e individuando così una risposta scientifica ai dubbi affiorati sul caso Coppi.

Prima tappa: dal frate in Burkina Faso.  Il santuario benedettino di Koubri è a quasi 30 chilometri da Ouagadougou, la capitale di questo Paese del Centro Africa, fino al 1959 chiamato Alto Volta. Lì, in una missione da lui fondata, vive Frate Adrien, un monaco di 75 anni che da qualche settimana, con le sue rivelazioni, sta cambiando la storia della morte di Coppi. Dall’aeroporto impieghiamo 40 minuti con un taxi inondato dalle canzoni di un festival di Sanremo. E’ a piedi nudi, sporchi di terra rossa e coperti con cerotti che nascondono cicatrici. Addosso ha l’odore del sudore di chi sta lavorando la terra. Ci  presentiamo. “Siete i primi venuti a trovarmi. Finora ho solo parlato via telefono o via e-mail”,  ci accoglie. Gli mostriamo i ritagli del Corriere dello Sport Stadio che parlano di lui. Si emoziona quando vede le foto del figlio di Coppi, Faustino. Conferma la versione data al quotidiano diretto da Italo Cucci: “Non posso garantire tutto, ma confermo che la storia dell’avvelenamento di Coppi è un’ipotesi plausibile. Ripeto, parlo di un’ipotesi. Avrebbe bevuto, durante una battuta di caccia, un beverone avvelenato propinatogli per vendicare la morte di un corridore africano, Kanga, avvenuta un anno prima”.

Seconda tappa: dal medico di Coppi a Serravalle Scrivia. Il dottor Ettore Allegri, 80 anni,  era 40 anni fa il medico della famiglia. Mostra di non credere alla teoria dell’avvelenamento  perché Fausto era molto attento e non avrebbe bevuto un intruglio qualsiasi. La morte avvenne sicuramente per malaria, come dimostrarono i vetrini del sangue del campione pieni del parassita di quella malattia, non nuova per lui, che ne era stato già colpito in Africa quando fece il servizio militare. Allegri, però, aggiunge:     “Per me resta misterioso, però, il fattore collaterale, la concausa che fece pedalare rapidamente la morte. La malaria è stata certamente la responsabile terminale, ma ci fu una causa condizionante e debilitante delle difese dell’organismo. Un qualcosa che disorientò i primi approcci diagnostici”.

Terza tappa: dall’allora assistente di Coppi, a Monastero Bormida (Asti).  L’uomo che accudì Coppi in quel viaggio in Africa è vivo e Oggi l’ha incontrato a casa sua tra le nebbie del Monferrato. Si chiama Adriano Maiolo, ha 64 anni, è un commercialista in pensione e ricorda bene (aiutato da foto e da un film da lui girato) quelle ultime giornate. “Allora ero uno studente, vivevo a Genova, avevo conosciuto Coppi a una battuta di caccia cui ero stato invitato da un mio parente  e suo amico. Mi aveva chiesto di accompagnarlo in Africa perché gli sarebbe stato utile un assistente. Lo feci con entusiasmo. Dalla partenza con l’aereo da Parigi fino alla vigilia del volo di ritorno gli fui a fianco giorno e notte. Con lui mangiai, bevvi, in stanze comuni, dormii e fui aggredito da migliaia di zanzare. Posso garantire che mai Coppi e io mangiammo carni strane, nè bevemmo beveroni inediti: al ricevimento ufficiale dato nell’hangar dell’aeroporto dopo la gara ciclistica vinta da Anquetil e alla festa in casa dell’imprenditore italiano Bonanza. Dopo la battuta di caccia nella regione di Bobo, mangiammo carne di manzo di montone arrostita alla griglia. Per avere un’idea della minuziosità con cui Fausto seguiva questi aspetti, basti pensare che si era portato una rudimentale farmacia in valigia e che il tè, la domenica della gara, se lo preparò da solo, pregandomi di passargli le due borracce durante i 60 chilometri della gara. Il caldo era mostruoso: toccò i 45 gradi;  la sera Fausto non voleva che accendessimo il condizionatore. ‘Fa troppo rumore’, diceva, ‘meglio avere le finestre aperte’. Ma dalle finestre entravano zanzare a legioni. Insomma, fummo concilianti con le zanzare (e infatti al ritorno ci ammalammo tutti e tre, io stesso, Geminiani e Coppi, l’unico che ne morì) ma mai ci fu un allentamento dell’attenzione sui cibi. Almeno fino a quando Fausto fu sotto il mio controllo. Perché il ritorno lo fece su un aereo diverso dal mio, andandosene con Raphael Geminiani”.

Quarta tappa: in Francia, da Raphael Geminiani. Il  nostro viaggio a ritroso sulle tracce delle ultime ore fatali di Coppi, in Francia taglia il traguardo in una cittadina a 15 chilometri da Clermont-Ferrand, in Alvernia. Geminiani si è ritirato qui a Perignat-sur-Allier, nel paese dove i genitori originari di Lugo di Romagna (il padre, Giovanni, aveva un’officina di riparazioni di bici in quel borgo della Romagna Estense; antifascista, emigrò in Francia un anno prima della nascita di Raphael) vennero ad abitare per lavorare alla Michelin. Oggi 2002, a 77 anni, “GEM” ha ricordi nitidi di quella tournèe che organizzò: “Considero soltanto fantasie le ipotesi ascoltate finora. Macché stregonerie,  macché vendette, macché intrugli misteriosi, macché ‘carne di cobra’ come ho sentito sostenere in Italia da pur autorevoli studiosi: l’unica carne che mangiammo fu di manzo e laggiù il manzo si chiama koba. Facile l’equivoco… Fausto era uno che calcolava tutto. L’alimentazione, per esempio: vitamine, grigliate, verdure per non caricare lo stomaco e ricavare il massimo di energia. Noi mangiavamo pesantemente e Coppi si nutriva scientificamente. L’errore in Alto Volta lo facemmo ad aprire le finestre, una di quelle notti: a un certo punto fui svegliato dal baccano che Fausto faceva per scacciare le zanzare picchiandosi con il palmo della mano sulle braccia, sulle gambe, sulla faccia.  Il ritorno a Parigi lo facemmo dividendoci in tre gruppi: Fausto e io, che avevamo fretta di rientrare, prendemmo due soli posti che rimanevano disponibili nell’apparecchio dell’Air France in partenza per Parigi. All’aeroporto di Konakry (Guinea)  facemmo una sosta di tre ore e per ingannare l’attesa accettammo l’invito di uno sportivo del luogo che ci accompagnò in auto a visitare la sua piantagione di banane. Durante questa visita, per pura curiosità e non per appetito, abbiamo mangiato della ‘manioca’ cruda. Una pianta popolarissima, da quelle parti:  per loro è il pane e  volemmo conoscere il gusto”.

La manioca amara contiene principalmente linamarina, un glucoside cianogenico che una volta ingerito provoca una serie di trasformazioni chimiche che portano alla formazione di cianuro e acetone, altamente tossici per l'organismo.

Alt: fermiamoci su questa trasgressione alimentare del pur attento Coppi e leggiamo quel che dice l’enciclopedia medica a proposito della manioca amara: “E’ una pianta alimentare molto apprezzata nei Paesi caldi ma consumare la radice cruda provoca intossicazioni gravi se non addirittura letali: ciò è  dovuto al suo contenuto di glucosidi cianogenici, che liberano il velenoso acido cianidrico”.

Dalla memoria di Geminiani forse è affiorata la spiegazione più nuova e più credibile sulla non più misteriosa fine di Coppi. []

(Salvatore Giannella

con la collaborazione di

Salvatore Gatto/Omega).

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